Thisavventura

ACROSS CAUCASO, QUANDO IL VIAGGIO CAMBIA

Gli amici di Thisavventura

Vi sono viaggi che avrebbero dovuto essere e viaggi che sono effettivamente stati, quelli immaginati e quelli realizzati. Il mese d’agosto 2024 di tre ragazzi, i fratelli Carlo e Vittorio Fenoglio e Marco Maroglio è iniziata con i primi e si è conclusa con i secondi. Ma, con il senno di poi, è andata bene così e oggi, quella fantasia sfumata non pesa più così tanto sul piatto della bilancia, perché attraverso di lei, i “Thisavventura”, così hanno scelto di chiamarsi i tre amici, hanno capito qualcosa in più, sono cresciuti più di quanto si possa immaginare di crescere in un’estate.

Le vacanze d’agosto erano giunte fra mille propositi mai concretizzati e l’ultima idea Vittorio l’aveva confidata a Carlo una sera, prima di andare a dormire: “E se attraversassimo in bicicletta il Caucaso, dal Mar Nero al Mar Caspio?”. Carlo, questa volta, non ne voleva sapere di organizzare: “Avete presente la gara a chi “stacca” dopo in Formula1? Nei nostri viaggi mi sono sempre fatto carico di prevedere i dettagli, questa volta ho lasciato a Vittorio e Marco quella parte. Un poco non ne avevo voglia, un poco volevo, e tuttora vorrei, imparare a vivere in maniera più “leggera”, soprattutto il divertimento. Così è andata”. L’inizio del racconto fa sorridere, almeno a posteriori: l’arrivo a Baku, in Azerbaigian, alle diciotto, i primi cinquanta euro persi da Vittorio nel tentativo di fare una ricarica telefonica, le biciclette malmesse, gli inconvenienti meccanici e la ricerca di un’officina, “la più importante della città, oso dire- scherza Marco- non perché fosse speciale, ma perché era l’unica, sicchè…” Anche una bambina passa al loro fianco mentre sono intenti a sistemare le bici, prende ingolosita un pacchetto di caramelle appena acquistate da Marco e poggiate a terra, fa un gesto di beffa e se ne va. Insomma, non il migliore degli inizi, ma c’è la spensieratezza, ci sono le loro camicie hawaiane, slacciate per il caldo soffocante, e la voglia di divertirsi e, magari, far divertire. Anche quando ci si rende conto che si è trascurato un dettaglio tutt’altro che essenziale: la viabilità: sì, perché l’unica possibilità per pedalare, usciti da Baku, è l’autostrada. Forse qualche stradina sterrata, di quelle che massacrano i muscoli e frastornano la mente.

Attorno praticamente il nulla ed in questo nulla una disponibilità ed una gentilezza fuori dal comune, tanto da mettere in imbarazzo: “Come fai a ricambiare certe cose? Siamo stati accolti a cena all’una di notte, siamo stati ospitati nei cortili dei ristoranti , mentre un signore ci gonfiava un materassino, con l’avvertenza: “Lui resta qui-rivolgendosi ad un collaboratore grande e grosso- se avete bisogno di qualcosa stanotte cercatelo, è qui per supportarvi”. Le persone sono pronte a darti qualunque cosa, dall’acqua, al cibo, ai regali ricevuti al supermarket, al conforto, anche se non parlano inglese. Ci siamo detti che era troppo, ma non avevamo ancora capito una verità davvero dura”. Dietro a questi ristoranti aperti venti ore su ventiquattro si cela, infatti, una forma di sfruttamento di tutti i lavoratori che vedono lo starniero come l’unica forma di speranza per cambiare la propria quotidianità, per soffrire meno. A Vittorio, Carlo e Marco sarà proprio un giovane cameriere di un ristorante a svelare la verità: “Ci ha chiesto quanto denaro gli sarebbe servito per venire in Italia, ci ha parlato dei suoi risparmi e del modo illegale con cui avrebbe potuto arrivare in un altro paese. Era sera, a noi sembrava la fine di una giornata, un momento di relax. In realtà è stato un momento che ha segnato tutti, che ci ha gettato nel silenzio. Già da qualche giorno, i tre non indossano più le loro camicie a fiori, ma delle semplici magliette: “Abbiamo capito dagli sguardi bassi degli abitanti, dalla loro ritrosia, dalle loro difficoltà che la nostra leggerezza era troppa, era fuori luogo e, per la prima volta, l’abbiamo messa da parte. Felici di farlo, in segno di rispetto”.

Lungo le strade del Caucaso

Il viaggio immaginato lascia strada al viaggio reale proprio a causa di quell’autostrada che nulla crea se non nervosismo e rischia di rovinare una vacanza solo per non ammettere la realtà: non si può proseguire, bisogna cambiare programma. Marco ha il coraggio di dirlo, Carlo la vive male, pensa che con la sua organizzazione, forse, non avrebbero fallito, Vittorio guarda nel vuoto. Sarà una sorta di taxi, molto arrangiato, ad accompagnarli verso una camera dove trascorrere la notte, rinfrescarsi e riflettere. “Non c’è fallimento: tutti, quando un progetto cambia forma, tendiamo ad usare questa parola e ci facciamo male. La costante, invece, è proprio la possibilità di mutare. A noi è successo con lo studio e con il lavoro e tutte le volte abbiamo trovato una strada migliore. Anche qui è accaduto, pur se non era una strada metaforica ma una strada reale. Il nuovo viaggio è stato molto più bello e avventuroso di quello iniziale”. Così quei tre ragazzi sono finiti in Georgia, tra le sue montagne e la sua popolazione: dal caldo soffocante alla pioggia ed al freddo. Dalla città ai boschi, dove montare le tende in mezzo al verde ed essere ora davvero in vacanza. Finalmente liberi dal peso della sconfitta. Marco racconta che senza Carlo e Vittorio avrebbe avuto paura e forse non sarebbe nemmeno mai partito, Carlo dice lo stesso e Vittorio concorda con loro. Il finale fa sorridere quasi quanto la partenza: tre ragazzi in giro per mercati cercando scatoloni per imballare le biciclette e riportarle indietro: un taxi con tutti cartoni recuperati si dirigerà verso la camera dove i tre costruiranno dei frankenstein enormi per proteggere le bici nel viaggio di ritorno. Assurdo? In parte sì, una vera e propria “Thisavventura”.

GLI SPUNTI DEL VIAGGIO DI CARLO, VITTORIO E MARCO PER UNA CITTÀ MIGLIORE

“In diritto penale si parla di imprenditori morali, ovvero di coloro che provano a sensibilizzare le persone su un determinato tema: le norme, poi, sono un riflesso della volontà delle persone. Una volta che si manifesta un’esigenza nella società, lo stato interviene, quindi l’unica possibilità di cambiare le cose è fare in modo che questa necessità di sicurezza sulle strade si faccia spazio tra la gente e diventi un bisogno. Abbiamo tutti presente l’educazione che si vive sulle strade spagnole, ad esempio. Bene, da anni, il denaro pubblico lì non viene investito tanto in infrastrutture quanto in educazione stradale, in cultura, in incontri nelle scuole. Piano piano il riflesso di questo atteggiamento si ripercuote sulle abitudini delle persone. Certo che è importante il metro e mezzo, certo che lo è una nuova ciclabile, ma ad un futuro differente ci si avvicina solo con la consapevolezza e con lo studio. Il bisogno nasce in questo modo”.