Serena Cugno

CCPINK: LA COMPAGNIA IDEALE CON CUI PEDALARE

Serena Cugno

Serena Cugno è cresciuta in un gruppo di soli uomini, sin da ragazzina. Non ha rimpianti e non crede nemmeno che le sia mancato qualcosa per questo: racconta di averli sempre capiti, gli uomini, e a tratti di averli invidiati, di certo li ha stimati, anche molto. Talvolta li ha messi in difficoltà, raro, continua, che sia avvenuto il contrario, però, nonostante tutto questo, ha sempre avuto ben chiaro in mente quante fossero le donne “violentate” da un uomo: “Si tratta di una violenza che ha a che fare con le proprie opinioni e le proprie scelte e con chi non le rispetta, con chi vorrebbe le donne, a cui pur dice di voler bene, diverse da quello che sono. Chiedere ad una donna di non essere il centro della propria vita è una forma di violenza e nella nostra società accade: si instillano sensi di colpa se una donna si diverte, si svaga, se non è costantemente impegnata per il bene di qualcun altro. Dico di più: si fanno sentire le donne in colpa perché sono felici. Quando si ha una famiglia, e si diventa madri, questo ragionamento si estremizza. Ma una donna non deve accontentarsi di una felicità di scarto, di riserva”.

Il ragionamento è perfetto, ma Serena si interrompe: precisa che tutto questo potrebbe essere una lamentela o poco più e a lei lamentarsi non è mai piaciuto. Allora, anni fa, quando ha maturato questo pensiero si è subito chiesta che azione fosse possibile abbinarvi perché fosse un pensiero produttivo, perché provasse a cambiare qualcosa nella società. Serena ha sempre pedalato, se ne intende di bici e parte da questo piccolo mondo. Di fatto, CCPink nasce così: si propone di essere la compagnia ideale con cui pedalare, un gruppo multicolore di donne in sella. Donne che condividono la passione per il ciclismo con altre donne già appassionate, ma anche donne che provano ad includere chi della bicicletta sa poco o nulla ed è curioso di scoprire.

Serena Cugno e CCPink

Se dovesse scegliere tre parole chiave per descrivere questa realtà, sceglierebbe: sorrisi, Haribo ed energia. “Può capitare un momento di tristezza mentre si pedala, ma deve essere solo un momento, qualcuna di noi deve intervenire, fare una battuta, cantare una canzone, riportare la serenità. Ecco il sorriso. Le Haribo sono la forma materiale della condivisione: un piacere zuccherino, di forma e colore differente per ciascuna di noi. Ognuna ha un pacchetto delle sue preferite da condividere con le altre cicliste. Sono in ogni pacco gara e non potrebbero mai mancare. L’energia è quella che serve per pedalare, per fare fatica e resistere, per imparare a tenere duro. L’energia è quella che serve per avere anche solo in mente di cambiare le cose”. Per questo il loro motto è “more women on bike” e non si parla di atlete ma di donne appassionate che vogliono provare. Quel gruppo di estranee, piano piano, è diventato un gruppo di amiche e il Piedmont Tour esiste grazie a tutte loro perché “da sole si può uscire a fare un giro, però un progetto non si costruisce da soli. Bisogna aspettare ed essere aspettati, come sulle salite. É necessario non sentirsi in colpa quando gli altri devono attenderti e non far sentire in colpa nessuno quando ci mette più tempo rispetto a noi”. A casa, ci sono Cloe e Nicole, le sue due figlie, di sette e undici anni. Sono ancora troppo piccole per raccontare loro tutto questo, però, quando vedono Serena triste o pensierosa, le sussurrano che loro la vogliono sempre “come quando è con le CCPink”. Questa è la prova di ciò che sostiene Serena Cugno: si trasmette con l’esempio, solo con l’esempio. “I bambini leggono, se ti vedono leggere. Pedalano, se ti vedono pedalare. Io, soprattutto con Nicole che è più grande e parla già di ragazzini e di possessività, mi raccomando solo di evitare di mettere la propria serenità nelle mani di altri. A qualunque età”.

Serena Cugno spiega che è necessario continuare a lottare perché, ancora oggi, per molti uomini è strano vedere una donna in sella da sola, perché quando si parla di biciclette, spesso, cercano solo altri uomini e credono che una donna non possa intendersene, non possa aggiustare una catena o sistemare un guasto meccanico. C’è ignoranza, racconta, è l’unico modo per combatterla è mettersi al servizio della società, essere, in questo senso, attivisti: così si dedica al “bike to school” con i più piccoli e cerca di diffondere l’idea che lo sport non sia solo quello professionistico, ma che possa salvare, qualunque sia la sfaccettatura con cui si pratica. “Conosco una ragazza che, a causa del proprio orientamento sessuale, ha passato un inferno in famiglia, con i genitori. La bicicletta l’ha mantenuta forte, è stata la sua possibilità per andare oltre e tornare a stare bene. Me l’ha detto proprio lei e io ci credo, Mi sento fortunata, privilegiata, perché ho scoperto la bicicletta e perché posso farla scoprire a qualcun altro”.

GLI SPUNTI DALL’ESPERIENZA DI CCPINK E SERENA CUGNO PER UNA CITTÀ MIGLIORE

“Le ciclabili sono necessarie, anzi, dovrebbero essere sempre migliorate, ma, accanto a questo, le persone devono acquisire una cultura della ciclabilità, altrimenti non andremo mai da nessuna parte. Non so il motivo, ma si nutrono spesso sentimenti negativi nei confronti dei ciclisti; gli automobilisti suonano il clacson, talvolta parcheggiano in modo tale che la ciclabile non sia nemmeno accessibile. A questo si aggiunga il fatto che, qualche volta, si trovano paletti e dossi sulle ciclabili e per i bambini sono deleteri, rischiano di farli cadere perché non hanno il nostro stesso livello di attenzione. In Olanda esistono autostrade per le biciclette, non dico di arrivare a quel punto, anche perché non ne siamo capaci al momento, però bisogna crescere nell’educazione e, per il punto a cui siamo arrivati, mi verrebbe da dire che sia necessario ripartire da capo. Personalmente uso una cargo bike e giro con le mie figlie, talvolta mi sento guardata come una folle. Le strade devono essere un luogo di condivisione, dove il più debole si senta protetto, messo al centro. Invito a scoprire strade sempre nuove, a percorrere quelle secondarie, in mezzo alla natura, e poi a tracciarle: sono una risorsa preziosa”.