Davide Rivero
L’EPICA DELLE MONTAGNE NELLE AVVENTURE DI DAVIDE RIVERO

La montagna ci assomiglia. Davide Rivero lo ripete spesso durante la nostra telefonata. Lui che ha conosciuto i giganti verticali in veste di atleta, quando si ferma a pensare vuole andare oltre. “Gli esseri umani sono molto più simili a un pascolo sui monti o ad una vetta innevata che non ad un computer o a tutta la tecnologia che affolla le nostre giornate. Il problema è che non ce lo ricordiamo quasi mai”. Davide ha almeno una parola per ogni salita scalata in bicicletta o percorsa a piedi, quasi fosse un gesto di cura, un’attenzione. Il Fauniera è casa, la Bonette è lunga e sconosciuta, quasi al di fuori di tutto, il Vars è corto, pare semplice con tutte le strade verticali che ha attorno, il Sampeyre è duro, arcigno, il Colle dell’Agnello ricorda la gestione, il riscaldamento all’inizio di ogni allenamento, mentre l’Izoard parla della possibilità di godere ogni istante.
Sette fra le tante montagne vissute, quelle percorse durante “Les 7 Majeurs”, un’avventura conclusasi a notte fonda, proprio sull’Izoard. Davide era stanco, sfinito, eppure quasi non voleva che quella giornata si concludesse, per questo continuava a ripetersi di assaporare quegli ultimi metri, sotto le stelle, nel buio che affina i sensi, che cambia le percezioni e la fatica altro non è che una percezione, capace di cambiare forma a ciò che ci è attorno. Il segreto, racconta Rivero, è comprendere quella sensazione, affinare il proprio rapporto con lei per essere in grado di evolvere e capirsi, conoscersi.
Per questo ogni tanto Davide dice “vado a fare una giornata in montagna”, saluta tutti e parte. L’ha fatto anche dopo un brutto infortunio, quando la bicicletta è stato il mezzo ideale per non abbandonare lo sport, per continuare a sentirsi atleta, per continuare a crederci. “Si tratta di un ambiente ostico, colpa dell’altitudine, della natura selvaggia, degli animali, di tante cose che mancano, ma, proprio per questo, abbonda di molto altro. La semplicità, in primis, perché in alto tutto si semplifica, laddove in città ogni cosa è complessa. Pensiamo ad un gesto banale, a fare pipì. Ciascuno sa quel che intendo. Pensiamo al silenzio con cui lassù camminiamo o corriamo. Torniamo genuini come animali, perché siamo animali”. Davide Rivero racconta dettagliatamente la visione di alcuni camosci sulle pietraie, la loro capacità di stabilire connessioni con gli esseri umani, senza dover fuggire per il rumore di un’automobile, la loro abilità nell’adattarsi. Così ha meditato su quanto anche gli uomini possano adattarsi e cambiare, grazie alla fatica che non dovrebbe mai assumere una connotazione negativa perché è la strada per migliorare. “C’è un’essenzialità rara nel correre in bici o a piedi, un gesto ritmico e semplice, in grado di trasportare in una bolla, di isolare per qualche momento da ciò che non è, poi, così importante”.

In bicicletta o a piedi, sempre sui monti, Davide ha imparato a scegliere la propria strada, la propria via, quella che si chiama traccia, ed a percorrerla, in tranquillità, ringraziando e sentendosi fortunato di abitare a ridosso delle montagne, scegliendole ogni giorno per sfuggire alle strade urbane, così caotiche, talvolta pericolose, dove nemmeno il fluire dei pedali è libero, perché resta incatenato ai timori, alle paure, ad una attenzione costante che impedisce persino la riflessione.
Sono i sentieri ed il loro collegamento ciò che più richiama in Davide il senso epico e leggendario delle spropositate altitudini: strade impervie che, però, accorciano le distanze tra un prato e l’altro, tra una pietraia e l’altra. Una lezione, perché più si è piccoli e leggeri più si fa strada, più si va lontano. Più si rallenta, più si riprende fiato, più si arriva dove si desidera, dove si sogna, dove si apre l’orizzonte. “Sì, ho provato ad avere paura, perché le montagne fanno anche paura, soprattutto da lontano, con le nuvole che incombono. La magia risiede nel fatto che basta avvicinarsi, prendere vento in faccia, scottarsi un attimo con il loro sole ed il timore passa. Arriva la felicità e, soprattutto, resta la tranquillità”.
GLI SPUNTI DALLE MONTAGNE DI DAVIDE PER UNA CITTÀ MIGLIORE
“Ho assistito a un incidente, tempo fa, e sono rimasto tutto il giorno senza parole, ma con tanti pensieri. Credo che uno dei problemi più importanti sia nel desiderio di aver ragione. Di fronte a qualunque fatto, sulla strada, cerchiamo chi ha ragione e chi ha torto. Da un punto di vista legale, va bene. Ma siamo sicuri sia la cosa più importante? Quando c’è in ballo la vita contano il torto e la ragione? No, dovremmo smetterla di voler aver ragione, di voler prevalere sugli altri. Rispettare la vita e basta. Fare un passo indietro quando è necessario. Poi ci sono diverse cose pratiche: ad esempio, mi chiedo se non sia possibile schermare i cellulari quando si sale in auto, per impedirci di guardarli, di distrarci, perché disconnettersi è salutare. Magari sarebbe anche opportuno scegliere più spesso altri mezzi, il treno, perché no?”